L’influenza H1N1 del 2009
Il virus dell’ Influenza – principi di virologia e immunologia.
I primi documenti che segnalano i sintomi di una epidemia di influenza risalgono al 412 AC, ad opera di Ippocrate1. Il termine influenza viene utilizzato per la prima volta circa 2000 anni dopo, in Italia, per descrivere quei malanni più o meno ricorrenti che, come molti altri eventi, sembravano essere influenzati dagli influssi astrali. Il termine italiano è rimasto nell’uso scientifico e anche in inglese al giorno d’oggi si parla di influenza virus. Dal punto di vista biologico, un virus influenzale è un virus molto semplice: composto da una decina di proteine, ognuna delle quali si occupa di un ruolo specifico2. Le proteine HA e NA, per esempio, sono le più importanti proteine sulla superficie del virus e il loro ruolo è quello di riconoscere “al tatto” una cellula ospite – cioé la possibile vittima – funzionando un po’ come chiavi per serrature. Essendo però in superficie, HA e NA3 costituiscono anche il tallone d’achille del virus perché sono il bersaglio principale della risposta anticorpale.
Rappresentazione schematica di un virus dell’influenza. Le proteine Neuraminidasi (NA) e Emaglutinina (HA) sono i principali antigeni (4)
Il sistema immunitario dei mammiferi è adattivo, cioé impara con l’esperienza: una volta messo in contatto con un agente estraneo, sviluppa proteine altamente specifiche dette anticorpi. Quando prodotti in quantità sufficiente, gli anticorpi ricoprono l’agente infettivo e lo marchiano per la distruzione da parte delle cellule del sistema immunitario. È il motivo per cui, in un organismo sano, molte malattie infettive si prendono soltanto una volta nella vita (morbillo o orecchioni sono un esempio noto). Ogni vaccino sfrutta proprio queste proprietà: ci si inietta in corpo una versione del virus innocua o indebolita, che possieda le proteine di superficie in modo da stimolare gli anticorpi ma che non sia abbastanza virulenta da scatenare la vera malattia. La specificità della risposta anticorpale, però, fa sì che talvolta sia sufficiente cambiare anche di poco la forma delle proteine di superficie affinché gli anticorpi non le riconoscano con la stessa efficienza.
Il virus dell’influenza sfrutta questa debolezza e tende a mutare utilizzando due fenomeni: mutazioni spontanee e minori dette di deriva antigenica (antigenic drift) e ricombinazioni, cioé mutazioni molto più sostanziose che cambiano completamente l’aspetto del virus (spostamento antigenico o antigenic shift).
Nella deriva antigenica, il virus cambia gradualmente e casualmente finché la sorte non introduce un numero di mutazioni che sono allo stesso tempo limitate abbastanza da non interferire troppo con la funzione del virus e diversificanti abbastanza per scappare anche solo parzialmente alla risposta immunitaria. La deriva antigenica è responsabile dell’avvento dell’epidemia stagionale, cioé quella che si verifica ogni anno. Una parte consistente del virus dell’influenza stagionale che è circolato negli ultimi decenni è una versione riveduta e corretta dello stesso virus che ha creato una pandemia nel 1968 (detto Hong Kong, variante H3N2). L’influenza suina di questi mesi sarà probabilmente una delle basi su cui si costruiranno i virus stagionali per i prossimi anni o decenni. Così via fino alla prossima pandemia.
Nuovi ceppi che hanno originato pandemie recenti. Dopo l’esplosione iniziale, il virus rimane per anni e modificandosi contribuisce ad aumentare il bacino dei virus cosiddetti stagionali 5.
È importante sottolineare che mutazioni avvengono continuamente6 ma fortunatamente la stragrande maggioranza delle mutazioni di deriva antigenica è dannosa per il virus stesso. Alcune sono silenti e altre ancora hanno pochissimo effetto. Perché sia realmente pericoloso, un virus mutato deve avere a) un vantaggio selettivo contro tutti gli altri miliardi di virus nell’organismo, di modo da prendere il sopravvento, b) riuscire ad uscire dal corpo ed infettare qualcun altro per propagarsi. Ogni anno, solo in Italia, vengono identificate decine di mutazioni7. Queste piccole continue mutazioni permettono al ceppo virale di non estinguersi e ripresentarsi di anno in anno al nostro organismo. Allo stesso tempo, il fatto che il virus stagionale sia solo minimamente diverso, lo rende anche relativamente meno pericoloso. Dico relativamente perché i numeri non sono altissimi ma sono sicuramente degni di nota: tra il 5% e il 20% della popolazione si ammala di influenza ogni anno, con un tasso di mortalità di circa 0.1%. Vuol dire circa 3000-12000 morti all’anno solo in Italia. Viste queste cifre, perché quindi tutto questo baccano per il virus dell’influenza suina che finora ha fatto in Italia meno di 70 morti (equivalente ad un tasso di mortalità dello 0.0029%)7?
Perché quella che ora chiamiamo H1N1 è una pandemia scaturita non da una deriva antigenica ma da uno spostamento antigenico. Gli spostamenti antigenici sono decisamente più rari e si verificano quando lo stesso ospite (ad esempio un maiale) è infettato contemporaneamente da due virus diversi: uno che di solito colpisce solo i maiali e uno che di solito colpisce solo l’uomo ma che per un processo di mutazioni è riuscito ad entrare, seppur timidamente, all’interno delle cellule suine.
Una delle differenze più evidenti del nuovo H1N1 appare guardando il periodo di diffusione del virus. Un segno di diverse capacità infettive rispetto ai ceppi stagionali. Notare che proprio per la diversa tempistica, il 99% del virus che circola in questo periodo è 2009H1N1. La stagionale arriverà più avanti come gli altri anni. Fonte: Istituto Superiore di Sanità.
I danni potenziali di un nuovo ceppo creato attraverso spostamento antigenico sono enormi. Basti pensare che l’influenza cosiddetta spagnola, che si crede essere originata in questo modo (anche essa un’influenza H1N1), colpì apparentemente il 30% della popolazione con un tasso di mortalità del 10-20%. Tra 50 e 100 milioni di morti in due stagioni: più della guerra e più della peste nera nel medioevo. Più morti di influenza spagnola in 25 settimane che di HIV in 25 anni.
Ogni nuova pandemia ha, in principio, la stesso rischio di diventare altamente pericolosa. Certo a distanza di quasi un secolo le nostre capacità di affrontare l’epidemia sono diverse: esistono unità di terapia intensiva che una volta non esistevano; inoltre la popolazione non è stremata dalla guerra come nel 1918. Però è anche vero che si viaggia molto di più e quindi ci si dovrebbe aspettare una pandemia con velocità ben più alta, magari esplosiva abbastanza per saturare gli ospedali. In sostanza, non potendo prevedere a priori la pericolosità di un possibile spostamento antigenico, l’OMS ha il dovere di lanciare l’allarme e prepararsi al peggio. È difficile farlo senza scatenare il panico, però, o senza fare la figura di quello che grida “al lupo al lupo”. Impossibile farlo se non si riesce a spiegare che un nuovo virus dell’influenza comporta un rischio potenzialmente altissimo per la società. La parola chiave, qui, è "potenziale".
Lo stato attuale delle cose.
Il nuovo H1N1 (chiamato appunto 2009 H1N1) è in giro da diversi mesi. Non sembra certo avere la pericolosità di una nuova influenza spagnola. A dirla tutta, sembra essere meno pericoloso della solita influenza stagionale. Quindi viene spontaneo porgersi alcune domande.
La prima: l’abbiamo scampata? Probabilmente sì. Ormai siamo in piena fase discendente della diffusione del virus. Il rischio che il virus evolva in una forma più pericolosa esiste sempre ma è probabilmente simile a quello che si corre ogni anno con la normale influenza. L’unico dubbio che rimane è cosa succederebbe se influenza stagionale e influenza H1N1 co-infettassero gli stessi soggetti. Una nuova ricombinazione sarebbe molto probabile e potenzialmente pericolosa.
La seconda: l’allarme era ingiustificato? No. È innegabile che questo sia un nuovo ceppo virale. Sarebbe stato impossibile prevedere fin dall’inizio l’esatta pericolosità. La cautela era d’obbligo.
La terza: han fatto bene (o fanno bene) i media a titolare in prima pagina ogni singola morte? Certo che no. I numeri parlano chiaro e non giustificano il panico.
La quarta: quindi, vaccinarsi non serve a nulla? Sbagliato. Vaccinarsi serve almeno tanto quanto serve vaccinarsi contro la normale influenza stagionale. Anche se, cumulativamente, il rischio di complicazioni o di fatalità legato a 2009H1N1 è più basso dell’influenza stagionale, la distribuzione del rischio rimane comunque differenziata in base alla categoria di appartenenza. Soggetti con malattie croniche (soprattutto polmonari) o donne incinte, ad esempio, hanno un rischio di complicazione significativamente più alto. Considerando che gli effetti collaterali della vaccinazione sono infinitesimali, la scelta dovrebbe essere semplice. Proprio le donne incinte, ad esempio, hanno un rischio decisamente più alto di qualsiasi altra categoria, benché storicamente rappresentino la categoria più restia alla vaccinazione(8). Purtroppo a qualcuno piace diffondere anche panico da vaccino, come se non bastasse il panico da H1N1.
- Descritta come “La Tosse di Perinto” – VI libro delle Epidemie del Corpus Hippocraticum.
- Medical Microbiology. Baron, Samuel, (editor).
- Per dare un’idea della misura della complessità, si pensi che un organismo unicellulare semplice, come il lievito della birra, ha bisogno di circa 7000 proteine per funzionare.
- HA e NA danno il nome ai vari ceppi virali. H1N1, ad esempio, significa variante 1 di HA e variante 1 di NA. Il virus dell’influenza stagionale è per lo più H3N2; l’asiatica è H2N2.
- Da "Influenza: old and new threats." Nature Medicine 2004.
- Il tasso di mutazione è di 1-2 x 10-5 per ciclo di infezione. Vuol dire diverse migliaia di virus mutati all’interno di ciascuno di noi.
- Dati del ministero della Salute. Qui una mappa mondiale della diffusione dei casi accertati.
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H1N1 2009 influenza virus infection during pregnancy in the USA. The Lancet, 2009